–––Bilbao
Arriviamo a Bilbao. È la prima volta che nel progetto SO IT IS riusciamo a materializzarci tuttx insieme, con i corpi, nello stesso spazio/tempo. Fare contatto, incontrare altrx artistx, e con loro incontrare altre pratiche, uno spazio con una comunità tutt’attorno, scambiare esperienze, punti di vista, dal vivo. La sera prima giriamo al Casco Viejo, tra le stradine, i ponti sul fiume e sulla ferrovia, il sole lunghissimo fin dentro la notte. Al mattino andiamo al bulegoa, ci aspetta Leire. È uno spazio aperto, anche spazialmente riverso sulla strada — fondato nel 2010 da Leire Vergara, Beatriz Cavia e Miren Jaio, si occupa di pratiche pedagogiche critiche, saperi situati e metodologie collaborative, prospettive femministe e decoloniali, trasformazione sociale connessa alle arti.
Vediamo il poster ideato da Itziar Markiegi a.k.a. Jana Jan e Myriam Rzm, performer e artiste sonore – hanno immaginato un corpo doppio, multiplo, un corpo collettivo in mutazione. Sono intervenute sullo scatto sia in maniera analogica che in photoshop. Il poster è posizionato davanti a una cassa, stampato su una carta leggera fatta apposta per vibrare a contatto con le onde sonore. Dopo l’azione sonora, staccheremo il poster dal supporto e andremo ad attacchinarlo su un muro della città.
Nel pomeriggio facciamo l’incontro – 𝕤𝕔𝕒𝕧𝕒𝕣𝕖 𝕓𝕦𝕔𝕙𝕚 𝕕𝕚 𝕟𝕠𝕥𝕥𝕖 è un formato di mappa/conversazione, è un groviglio di g͎r͎o͎v͎i͎g͎l͎i͎o͎ ͎d͎i͎ ͎c͎o͎s͎e͎ ͎i͎n͎g͎a͎r͎b͎u͎g͎l͎i͎a͎t͎e͎, in cui – insieme a Paola – attraversiamo pratiche performative e ricerche vagabonde fatta con altrx, partendo da frammenti sonori e immagini: il progetto nomade SO IT IS con tutti i suoi nodi spaziali e relazionali, il movimento transfemminista di Non Una Di Meno in Italia e che tipo di domande e di attivismo ha attivato nel mondo artistico che frequentiamo, come le azioni di anasuromai (2017) e poi sulla statua di Montanelli (2019) nello spazio pubblico, e da lì però tornare indietro alle voci – fragili, ancora nascenti, per la prima volta a prendere parola – della prima manifestazione femminista a Campo de’ Fiori nel 1972, la presenza luminosa quel giorno di Mariasilvia Spolato, primo atto di visibilità lesbica in Italia, e poi di voce in voce le occupazioni culturali in Italia degli anni Dieci (Teatro Valle, Macao e altre) partendo dal grido di Silvia e di Judith Malina nel Teatro Valle Occupato in The plot is the revolution di Motus, dentro una mappa scomposta delle lotte di artistx e lavorat^ dello spettacolo arriva all’occupazione del Globe Theatre a Roma del 2021 in piena pandemia, e poi ancora uno sguardo su come la performance crea e riscrive lo spazio pubblico, l’indagine – affettiva, amorosa – sull’efemeralità delle vite e degli archivi queer.
È una raccolta notturna, fatta vagando, quando i fiori piano si schiudono. L’incontro accade all’interno di Material Voices: Feminist genealogies of the work of making exhibitions, un programma pensato dal gruppo di bulegoa che indaga le pratiche curatoriali e il lavoro delle donne dai '70 a oggi. C’è ascolto, cura, attenzione. Ci confrontiamo su assonanze e diversità tra l’Italia e i Paesi Baschi, sull’intensità delle politiche radicali e di movimento che hanno attraversato entrambi i paesi, di come ora a Bilbao sia impossibile pensare di occupare – solo pochi spazi resistono, tra i moltissimi che c’erano.
Finiamo, inizia l’azione sonora di Itziar e Myriam. Stiamo, tra il dentro di bulegoa e la strada, le lattine di birra in un secchio con ghiaccio, tra l’italiano e il castigliano, mentre in un altro secchio Silvia e Leire sciolgono la colla per il poster, e Miriam e Itziar discutono su dove attaccare il poster. Partiamo, secchio e pannelli, una trentina, scendendo le scale del barrio. E dopo il ponte, vicino all’acqua scegliamo il muro.
Torniamo su, al bar, ancora insieme. Le ragazze di bulegoa hanno organizzato bevuta e comida. Mangiamo tortillas, beviamo vino e cerveza. Avvertiamo l’aria viva della scena di Bilbao, ci raccontano di come funziona, delle trasformazioni politiche degli ultimi anni. L’arte e la cultura sono molto sostenute e finanziate, ci raccontano, anche se Bilbao è governata dalla destra, una destra moderata, che concede qualcosa sul piano dei diritti civili ma in termini di politiche economiche e di welfare è pienamente liberista. Dopo la fase di deindustrializzazione si è investito molto sulla cultura. Negli anni Novanta c’era ancora pochissimo, il terrorismo ancora attivo, molte di loro sono andate fuori – a Londra, a Berlino – a studiare, a lavorare. Poi però sono tornate, e hanno aperto spazi, condiviso i saperi accumulati, riportato qui le loro relazioni e le loro reti. Ci raccontano della transizione dal franchismo, che è stata lenta, e non compiuta. Come in Italia, forti sono state le continuità dentro i sistemi di potere – la Spagna, secondo loro, è un paese profondamente di destra. Ci raccontano del terrorismo indipendentista dell’ETA / Euskadi Ta Askatasuna, di com’era vivere qui, e di come fino alla tregua del 2006 – tra mille contraddizioni – questa presenza abbia in qualche modo arginato la presa capitalista sulla città. Gli raccontiamo che per noi, dall’Italia, nei movimenti, la lotta basca era un simbolo, che c’è un centro sociale a Torino che si chiama Askatasuna. Loro hanno il mito politico dell’Italia e dei conflitti, noi dei Paesi Baschi. Ridiamo. Ora è diverso, un po’ ovunque.
Parliamo della strage di migranti a Melilla il 25 giugno, dell’esternalizzazione della frontiera e della violenza sui confini, di come la presenza anche di partiti di sinistra come Podemos al governo non abbia minimamente scalfito le politiche migratorie repressive e i respingimenti. Anche qui, sentiamo tutte le affinità. Il giorno è lunghissimo, un crepuscolo dolce e senza fine, che prolunga lo stare assieme.